Folclore e feste calatine
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Album fotografico di Caltagirone chrisound
di Antonino Ragona Foto di:
Umberto & figli
Dr. Giacomo Territo
M. e G. Marcinnó
chrisound studio

Riteniamo utile aggiungere qualche breve notizia sul folclore e le feste locali che ormai a grandi passi tendono a scomparire.
I suonatori ambulanti per la novena del S. Natale; la bella cerimonia della vestizione dei bambini poveri con l'offerta, fra l'altro, di dolci caratteristici a base di miele e vino cotto, durante le feste natalizie, stanno per diventare lontani ricordi.
C'è ancora qualcosa di tradizionale nei popolareschi santini con fischietti in terracotta che si vendono per la festa dell'Addolorata ai Cappuccini e per quella della Madonna dei Miracoli; nelle campane pure in terracotta che figurano sulle bancarelle davanti la chiesa del Ponte per la ricorrenza dell'Ascensione. La caratteristica festa della Madonna del Rifugio in campagna, col tiro alla porcella, è da non pochi anni scomparsa. Rimane sempre sentita la processione del Cristo morto la sera del venerdì Santo, con la lenta ed interminabile sfilata di confraternita e clero salmodianti, al lume delle lanterne, seguiti silenziosamente da autorità e popolo; come pure la singolare funzione della Giunta nel pomeriggio della domenica di Pasqua, quando una enorme massa di popolo, formante un selciato brulicante di teste sulla grandiosa Scala Ex Matrice, saluta al grido di "Viva Maria" la gigantesca figura di S. Pietro che, correndo, annunzia a Maria la resurrezione di Cristo portato in trionfo. La festa della Conadomini che si svolge il 30 e il 31 maggio, ha la sua nota di colore in quell'offerta di grano e rusedda caricata sui muli e carri addobbati a festa con sfoggio di colori e sonagliere. Le feste patronali di S. Giacomo, che si svolgono tutte di notte dal 23 luglio al 1 agosto, conservano pure parte dell'antico sapore tradizionale in quella fastosa illuminazione della Scala con lanterne a vario colore disposte a disegno; in quella movimentata processione notturna del Santo con l'accompagnamento del Senato, scortato da paggi in uniforme settecentesca reggenti torcioni accesi; in quei ripetuti ed assordanti spari di fuochi d'artificio.
L'illuminazione della città per le feste patronali, nelle vie, nei prospetti delle chiese e dei palazzi, nelle piazze, nelle umili case private, aveva un fascino singolare che ora, con l'avvento della luce elettrica, è quasi del tutto scomparso. Piramidi lignee o metalliche, portanti in diversi ripiani gusci di grosse lumache piene d'olio con entro lucignoli ardenti con brillanti fiammelle, erano poste ad illuminazione di edicole, crocicchi e vie ove passava la processione del Santo Patrono S. Giacomo. Tutto questo apparato si chiamava luminaria.
A tanta luce facevano spesso contrasto zone poco illuminate, dove pure per necessità di percorso doveva passare la processione del Santo. Al buio in mezzo alla folla spesso capitava che il marito perdesse la moglie e i genitori la figlia. Ed ecco allora spiegata la frase di avvertimento che si ripete anche oggi: "Mannedda, appizzati à brachetta", cioè "attaccati ai pantaloni".
Ora per luminaria si intende solo il falò fatto con cataste di legna accesa. Siffatta luminaria ancora si usa fare la sera della vigilia della festa della Madonna dei Miracoli nel largo spiazzo antistante alla chiesa. Nel passato questa festa, piú d'ogni altra, era densa di folclore, anche perchè dava inizio alle festività annuali cittadine. Alla 'ntinna o gioco della pentolaccia si accompagnava nel giorno della festa il frastuono assordante delle campane, il vocio indistinto di un'immensa folla di gente intercalato dalle grida dei venditori. Con la luminaria e assordanti spari di mortaretti e maschi, si ricorda ancora ogni anno il tremendo terremoto dell'11 gennaio 1693, alle ore 15 di detto giorno. Cataste di legna rubata dai monelli nelle case, senza rispetto neppure per le gabbie delle galline, ardono nella predetta ora avanti le edicole del protettore S. Giacomo a ricordo del luttuoso avvenimento. Coi mortaretti si annunziava pure l'apertura delle fiere le quali, perchè venissero frequentate, spesso godevano del privilegio della sospensione dei debiti. Infatti, quando c'era la franchezza, nessuno poteva in quei giorni essere arrestato per debiti. Coi giri che nell'ottava faceva il Santo in piazza, aveva termine la festa patronale e insieme la sospensione del pagamento dei debiti. Allora le dicerie del popolino andavano bisbigliando che se i giri del Santo in piazza erano avvenuti dal lato manco, continuava la sospensione del pagamento dei debiti, mentre se erano avvenuti dal lato destro, terminata la festa, doveva subito provvedersi a pagarli. La festa solitamente si chiudeva con un imponente spiegamento di fuochi d'artificio e detonanti spari di mortaretti, il cui rimbombo si avvertiva nel silenzio della notte dai paesi circostanti, da cui spesso era pure possibile vedere in lontanza il cielo arrossato da roteanti e guizzanti scie luminose di smaglianti colori: i popolari surfareddi.
Hanno pure il loro fascino ancora i pellegrinaggi notturni con lanterne accese e devoti canti al Santuario del Soccorso nei venerdí di settembre.
Di grande interesse ed aspettativa per i bambini è la festa dei morti, preceduta la sera innanzi dal mercato dei giocattoli e dei dolci tradizionali, che figurano su stracariche bancarelle, fra illuminazioni bizzarre ed assordanti grida di venditori. É possibile in tale occasione vedere ogni tipo di frutta e statuette di zucchero e pure i caratteristici dolci che richiamano il tempo della dominazione musulmana, come 'a giuggiulena, 'a cubbaita, 'u turruni, 'a calia semplice o zuccherata: dolci questi che davano vita ad una numerosa maestranza calatina detta dei cubbaitari, che girava per tutti i mercati e feste dell'isola, e che aveva la principale fonte di vita nella ingente quantità di miele che si produceva a Caltagirone fin dai tempi piú lontani. Nelle feste e fiere isolane erano pure presenti le maestranze dei ceramisti e dei cordari calatini, molto fiorenti per il passato nella città.
Oggi,peró feste, tradizioni e superstizioni tendono a scomparire. Non c'è piú il devoto che compra in chiesa 'i cuddureddi per le feste di S. Nicola e di S. Lucia, come non c'è piú chi crede alla truvatura di S. Mauro, fantastico ricordo di una vicina cittadina greco-sicula scomparsa e divenuta nel tempo luogo di fortuiti rinvenimento da parte di contadini. La popolazione calatina tende ormai a lasciare le anguste abitazioni addossate ed ammucchiate sulle antiche colline per andare ad abitare nei quartieri nuovi della cittá, sorti nelle salubri zone pianeggianti della Madonna della Via e di S. Maria di Gesú. Moderne costruzioni, a guisa di giganteschi alveari in grigio cemento, invadono dette zone a mezzogiorno della cittá e giá accolgono pure gran parte della popolazione piú misera che era quella piú sensibile al fascino della favola, delle superstizioni ed insieme delle tradizioni.
In mezzo al cemento la tradizione ora langue, ma passa a far parte della letteratura, costituendo sempre le pagine piú vive e sentite del nostro passato.