La tomba di Gualtiero nell'antica Chiesa Madre di Caltagirone ed il terremoto del 1542
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Album fotografico di Caltagirone chrisound
di Antonino Ragona Foto di:
Umberto & figli
Dr. Giacomo Territo
M. e G. Marcinnó
chrisound studio

Una isolata tomba lapidea, ossia un sarcofago, giacente vicino ad un altare spoglio ed abbandonato sotto l'organo della Chiesa Madre di Caltagirone, che il vescovo di Siracusa Don Girolamo Bologna nella sua visita pastorale alla stessa chiesa del 27 novembre 1542, ordinò di distruggere dalle fondamenta perchè "di grande vergogna per la chiesa", certamente non poteva appartenere che ad un cadavere ivi rinchiuso da secoli ed ormai dimenticato. E gli eventuali interessati a questa tomba che il vescovo vuole che siano l'indomani stesso rintracciati ed interpellati per vedere se hanno qualcosa da obiettare circa la distruzione della tomba stessa ed il trasferimento delle ossa in sepoltura, non possono essere che degli assai lontani eredi. Del resto l'incerta proprietà della tomba attribuita collettivamente "al nobile Francesco Barraccia ed altri", fa chiaramente capire che i lontani eredi ormai dovevano essere tanti e non facilmente individuabili.
Non conosciamo l'esito della ricerca dei lontani eredi del personaggio sepolto nel sarcofago, ma sappiamo che il 30 novembre, proprio tre giorni dopo,per il verificarsi di un forte terremoto, dovè essere impedita l'attuazione delle disposizioni impartite dal vescovo di Siracusa. E sappiamo ancora che lo stesso vescovo Bologna il primo del successivo mese di dicembre partecipò in Caltagirone ad una solenne e contrita processione al Santo Protettore S. Giacomo Maggiore Apostolo, per placare l'ira divina. Il 10 dicembre la terra tremò ancora piú forte e danni in vite umane e monumenti si verificarono in Caltagirone ed in altre città del Val di Noto. In Caltagirone anche la Chiesa Madre fu danneggiata dal crollo dei merli della torre campanaria.
Certo non si dovè piú parlare in tali circostanze di rimozione e distruzione del sarcofago e neppure a ciò potè pensarsi nei primi mesi dell'entrante anno, poichè la terra ancora per altri quaranta giorni continuò a tremare con immenso panico delle popolazioni.
Ma cessata la paura, indubbiamente prima si dovè pensare a risanare i gravi danni del terremoto che in Caltagirone nella scossa del 10 dicembre aveva fatto nove vittime ed aveva provocato danni oltre che alle torre campanaria della chiesa Madre, ai quartieri di S. Giorgio e di S. Benedetto, dimezzando anche la vetusta torre campanaria di S. Giuliano.
La città pensò tosto a riparare i merli della torre campanaria della Madre chiesa e a rafforzare con bastioni le parti lesionate. Quando i lavori di restauro furono completati vi fu apposta una iscrizione coi nomi dei giurati del tempo e con la frase "Renovata vetustas" che esaltava l'opera di ricostruzione che aveva riportato il monumento al primiero stato.
Alla attuazione delle disposizioni del vescovo di Siracusa si dovè pensare in seguito. Del resto le visite pastorali avvenivano ogni cinque anni, e entro questo margine di tempo non era difficile provvedervi.
Intanto nel governo della Chiesa Madre di Caltagirone era successo al vecchio parroco Tomeo Azzaro, il nuovo, Nicolò di Leali. Pare che lo Azzaro si sia dimesso da parroco probabilmente per ragioni di salute in conseguenza del terremoto. É certo che il Leonardi nella cronologia dei parroci della chiesa Madre elenca come parroco in funzione al primo gennaio 1542 Don Nicolò di Leali, che egli erroneamente, seguendo l'Aprile, chiama di Lianti. D'altra parte risulta che nel settembre del 1545 l'Azzaro era ancora vivo e faceva testamento senza la qualifica di beneficiato, ossia parroco, disponendo la propria sepoltura nella cappella dei Massari.
Tutte queste circostanze vengono da noi richiamate perchè l'Aprile nella sua Cronologia di Sicilia ci ha trasmesso una notizia che ha attinenza col nostro argomento, da lui ricavata dal manoscritto del castellano Bartolomeo Perremuto. Tale notizia dice che essendo parroco della Chiesa Madre di Caltagirone, Don Nicolò di Liante, fu trovato l'epitaffio di Gualtiero inciso nella colonna della cappella di S. Matteo. In altro suo scritto però l'Aprile afferma che "fu trovata la tomba di Gualtiero".
Ora poichè non conosciamo le testuali parole del Perremuto e poichè lo stesso Perremuto, unica fonte da cui attinge l'Aprile, scriveva alla distanza di oltre un secolo dal rinvenimento della tomba anzidetta, è facile pensare che la notizia abbia un'unica origine derivante dal fatto che al tempo del parroco Leali abbiano avuto attuazione le disposizioni del vescovo di Siracusa Mons. Girolamo Bologna circa la distruzione della tomba lapidea esistente sotto l'organo della chiesa. Indubbiamente il parroco Leali avrà dato seguito, entro lo spazio utile dei cinque anni d'intervallo delle visite pastorali, alle disposizioni del vescovo Bologna e nel rimuovere e distruggere la tomba lapidea si sarà accorto che essa apparteneva a Gualtiero e ne avrà conservato l'epitaffio nella stessa cappella di S. Matteo, dove la tomba giaceva da secoli.
Ma quale era la cappella di S. Matteo dal momento che nelle disposizioni del vescovo siracusano si parla solo di un altare abbandonato sotto l'organo e vicino alla tomba, pur esso da distruggere? Nel tardo Cinquecento la corporazione dei "vaccari" titolare della cappella di S. Matteo nella chiesa Madre, non aveva piú la propria cappella, ma si raccoglieva in quella di fronte all'organo, intitolata a S. Giovanni Battista. Evidentemente la corporazione dei "vaccari" sarà stata rimossa dalla propria cappella di S. Matteo per dar posto in essa all'organo, ed avrà avuto in cambio quella di S. Giovanni Battista che sorgeva di fronte. Questo sarà avvenuto anteriormente al 1542 e spiega la presenza di un altare abbandonato nella cappella dell'organo, che il vescovo Bologna vuole pure eliminato. Invero i "vaccari" avevano come protettore S. Matteo, il cui simbolo evangelico era il bue e, l'avere essi ora come titolare della cappella S. Giovanni Battista il cui simbolo è l'agnello, dice chiaramente che la cappella di S. Giovanni non era la loro originaria. É da aggiungere che affiancata alla cappella dell'organo era rimasta la cappella della corporazione dei "picurari". Il che rafforza l'idea che al posto dell'organo, affiancata alla cappella dei "picurari" doveva trovarsi originariamente quella dell'affine corporazione dei "vaccari", ossia la cappella di S. Matteo.
Risulta così, da quanto detto, piena corrispondenza fra il luogo dell'organo, dove trovavasi la tomba fatta rimuovere dal Vescovo Bologna e la cappella di S. Matteo, luogo del rinvenimento della tomba di Gualtiero. Pertanto non può che concludersi che la tomba e l'altare fatti eliminare dal vescovo Bologna, non erano altro che la tomba di Gualtiero e l'altare di S. Matteo.
Sintetizzando ora l'argomento principale, sotto il governo del parraco Leali, da una parte abbiamo la distruzione della tomba di Gualtiero e dall'altra la trasmissione del ricordo di essa attraverso la conservazione dell'epitaffio.
Rimane ora da stabilire le ragioni delle determinazioni del vescovo Bologna, che certamente non sembrano state prese a caso. Invero, l'espressione "di grande vergogna per la chiesa" attribuita ad un sarcofago lapideo e l'ordine di distruggerlo "dalle fondamenta", non si spiegano facilmente con ragioni di estetica perchè solitamente siffatti tumuli costituiscono decorosi ornamenti di chiese. E non si spiega neppure l'eccessiva premura con cui il vescovo intende eliminare la tomba rimandando addirittura all'indomani la ricerca di eventuali interessati che possano ostacolare le sue decisioni. t evidente che il Bologna abbia voluto riferirsi al contenuto del sarcofago e col suo gesto spegnere il ricordo di un personaggio eliminato quale avversario dei monarchi spagnoli, cioè degli antenati dell'imperatore Carlo V, cui egli era tanto devoto per i grandi e numerosi benefici ricevuti. Sicchè la distruzione del sepolcro di Gualtiero di Caltagirone, dopo oltre due secoli e mezzo dalla sua morte, parrebbe un vile atto di servilismo verso la corona di Spagna, perpetrato in corso di sacra visita alla chiesa Madre di Caltagirone, dal vescovo della diocesi di Siracusa, Mons. Girolamo Bologna, creatura dell'imperatore Carlo V.
Questi infatti, palermitano di nascita, nominato dal 1524 abate di S. Filippo de Grandis, aveva ottenuto nel 1527 dal monarca spagnuolo l'elezione a suo cappellano. Visse il Bologna, come dice il Mongitore, accettissimo a detto imperatore, per cui successivamente dallo stesso ebbe l'abazia di S. Maria di Roccamadore nel 1528 ed il priorato di S. Trinità di Delia. Infine nel 1541 fu nominato vescovo della diocesi di Siracusa e come tale inviato al Concilio di Trento. Nel governo di detta diocesi fu zelantissimo. Nell'autunno del 1542 intraprese la sacra visita per la sua estesa diocesi e il 27 novembre di detto anno è in Caltagirone per la menzionata visita che inizia dalla Chiesa Madre. La sua è una visita meticolosa. Scruta ad uno ad uno gli altari; richiede i titoli relativi ai giuspatronati e ai benefici, posa gli occhi sulle sepolture e le tombe che trovansi nelle chiesa. Ne osserva lo stato di conservazione e dà tassative disposizioni per la reintegrazione o per la distruzione. Nella prima cappella dell'ala sinistra della chiesa, vicino all'abside, è l'organo che occupa il fornice dell'arcata della cappella stessa. Sotto l'organo trova un altare abbandonato e spoglio di arredi e ne ordina la distruzione. É l'antico altare di S. Matteo non piú officiato. E la tomba che vi è accanto e di cui pure ordina la distruzione è quella di Gualtiero.
Quando in virtù del breve di Pio V, nella sacra visita del 1589 sarà ordinato al parraco della Matrice di Caltagirone, Don Giacomo Albergo "che tutti li sepulcri che sono sopra terra si smorassero et che li ossi seu corpi morti li ponessero sotto terra", già le ceneri di Gualtiero erano state disperse da oltre 40 anni.