Nella
storia del Vespro Siciliano, dopo quella di Santo Spirito in Palermo,
nessuna piazza dell'Isola riveste importanza pari a quella del Piano
di S. Giuliano in Caltagirone, illogicamente oggi denominata Piazza
Umberto I.
Qui il 22 maggio 1283, assiepate da una massa di popolo, confluirono
tutte le forze aragonesi e lo stesso Infante Giacomo d'Aragona, unicamente
alle più alte autorità civili e militari del regno, in assenza del padre
re Pietro III d'Aragona, già partito per Bordeaux per il duello con
re Carlo d'Angiò. E alla presenza dell'Infante Giacomo e di un imponente
spiegamento di forze militari al comando del vicario Guglielmo di Calcerando
e del giustiziere di Val di Castrogiovanni, Demina e Milazzo, Natale
Ansaione, il gran giustiziere del regno, Alaimo di Lentini, affiancato
dal gran cancelliere del regno, Giovanni di Procida, pronuncia la sentenza
capitale nei confronti di Gualtiero di Caltagirone e dei suoi due compagni
Manfredi de Montibus e Francesco de Todis, che viene subito eseguita,
nel predetto Piano di S. Giuliano nel giorno anzi menzionato.
Gualtiero di Caltagirone, personaggio di spicco e potente nel Val di
Noto, era nipote di Fra Reginaldo di Lentini, arcivescovo di Messina
e pure di Fra Tommaso di Lentini, Patriarca di Gerusalemme, che quale
commissario pontificio al seguito dell'esercito angioino, aveva fatto
disperdere le ceneri di Manfredi perchè scomunicate ed indegne di cristiana
sepoltura.
Altri due cospiratori, Giovanni Bongiovanni e Tano Tusco, precedentemente
catturati a Noto, saranno impiccati, non come scrive l'Amàri, entrambi
a Mineo, ma, secondo quanto ci fa conoscere lo storico coevo, Bartolomeo
di Neocastro, il primo a Mineo e l'altro a Messina. Ciò evidentemente
avveniva per spargere il terrore in vari luoghi della Sicilia orientale
e scoraggiare ogni residuo tentativo di sedizione.
L'esecuzione capitale di Gualtiero di Caltagirone, il capo della cospirazione
anti aragonese, segna il trionfo degli Aragonesi e la fine delle aspirazioni
repubblicane del Vespro.
L'antica chiesa di S. Giuliano, col prospetto rivolto ad occidente verso
il ghetto degli Ebrei e l'adiacente rione dei ceramisti, e con l'abside
ove è oggi l'ingresso principale della chiesa, aveva una porta secondaria
rivolta a mezzogiorno con la scritta che ricordava l'anno della costruzionel282
e l'autore di essa porta "Magister Gofredus". Avanti a questa
porta fu issato il palco su cui si consumò il sacrificio dell'eroe al
grido assordante della massa dei partigiani aragonesi: "a morte i
traditori!"
Il boia fra il frastuono delle grida fa calare la mannaia sul collo
di Gualtiero e dei suoi due compagni. Il corpo dell'eroe verrà sepolto
in un sarcofago nella chiesa Madre, nella cappella di S. Matteo, e su
esso calerà l'oblio dei secoli. Solo nel 1542, quando il vescovo di
Siracusa Mons. Girolamo Bologna, in corso di sacra visita, vedendo quel
sarcofago abbandonato ne ordina la immediata distruzione, ci si accorse
di essere di fronte alla tomba di Gualtiero. Probabilmente il parroco
del tempo, Don Nicolò di Liali dovè conservare l'epitaffio, che poi
fu perduto in seguito al terremoto del 1693.
Certo, a parte l'errata dizione di "Gualtiero da Caltagirone"
al posto di "Gualtiero di Caltagirone", l'iscrizione odierna
che ricorda il martirio dell'eroe in Piazza Umberto 1, l'antico Piano
di S. Giuliano, non è un ricordo felice, che possa compensare della
perdita dell'antico epitaffio. Parla infatti la predetta iscrizione,
di "promotore del Vespro", cioè di responsabile della più efferata
sollevazione della storia isolana. P- cosa quanto mai inconcepibile
che Gualtiero, parente intimo di Bertrando Buccardo, generale francese,
cui aveva dato in sposa la sorella, pensasse al massacro dei francesi
e poi venisse condannato a morte come filo angioino. Gualtiero invero
meditava solamente un colpo di stato, ma non il massacro indiscriminato
del Vespro. Il Vespro fu una spontanea sollevazione popolare che sfuggì
ai cospiratori, che anzi ne furono travolti. Basti pensare che nessuno
dei capi storici è alla testa del popolo inferocito contro i francesi
nella notte del terrore.
Ma a parte tutto questo, il nome di Gualtiero di Caltagirone è rimasto
vivo nei secoli, non per la sua partecipazione alla congiura antiangioina,
ma per essersi opposto ai nuovi dominatori dell'isola, agli Aragonesi,
che si rivelarono inclini a ricalcare le orme dei cacciati e deprecati
angioini. Infatti re Pietro III d'Aragona, arrivato nell'isola senza
colpo ferire, si preoccupò più della riconquista dell'intero regno appartenuto
al suocero Manfredi, che del governo della Sicilia consegnatagli libera
dalla tirannia angioina.
Per Gualtiero la guerra del Vespro si fermava ai confini dell'isola,
cioè alla conquista di Messina e non doveva varcare lo stretto. Per
Pietro d'Aragona invece la Sicilia era solo una prima tappa di conquista
dell'antico regno svevo. E in questo cozzo di idee è segnata la fine
di Gualtiero.
Gualtiero di Caltagirone era un personaggio nobile, ricco, potente sotto
il regno angioino, per cui la sua ribellione all'esoso governo di re
Carlo d'Angiò si spiega solo con la pura idealità di pace e benessere
che voleva conseguire per il popolo siciliano con un governo saggio
ed amante della libertà. Ma quando si accorse che questi ideali venivano
meno, anzi calpestati, anche dal governo aragonese da lui auspicato
e favorito, ecco che egli si ribella pure ai nuovi dominatori, pagando
con la morte la sua ribellione.
Un siffatto sacrificio merita un imperituro ricordo nella storia e da
tempo avrebbe dovuto essere fermato nel luogo del supplizio, cioè nel
Piano di S. Giuliano, ossia piazza Umberto, accompagnato da un degno
monumento e non certo ilare e denigrante come quello fattogli non lungi.
Ma i Calatini hanno preferito tempestare di una colluvie di nomi sabaudi
le principali vie cittadine, per cui non deve meravigliare se anche
la piazza che vide il sacrificio di Gualtiero oggi porta il nome di
Umberto I di Savoia. |